Benvenuti nel mio Blog!
Un diario personale dove cercherò di non farvi trovare solo gradi e prestazioni sterili ma emozioni legate alle salite, paure condivise con amici, strette di mano, abbracci, racconti semplici e quant'altro ci consenta di sognare...

Una piccola opera d'arte



Dopo una notte di luna piena, la mattina si presenta nuvolosa. Esco dal sacco piuma prima che la sveglia suoni e preparo una tazza di caffè. L’aroma forte si disperde nell’aria mentre lo sorseggio con calma.


Qualche dolore della giornata precedente si fa sentire; l’allenamento non è più quello dei vent’anni, la determinazione si… quella non manca.
La meta di oggi è una via relativamente corta che sulla carta sembra bella e continua. Non sappiamo però, poveri illusi, cosa ci aspetterà!!
Alle prime luci ci troviamo in movimento a risalire la strada che, poco sopra, si trasforma in sentiero.


Inizia a piovere…
Continuiamo lungo il ripidissimo sentiero che ci fa sbuffare non poco sperando che il tempo migliori e dopo quasi due ore ci ritroviamo sotto la nostra meta con un cielo blu intenso che ci riempie di gioia.


Risaliamo lo zoccolo e in breve siamo all’attacco.


Le mia prima sensazione è quella di trovarmi di fronte ad un’opera d’arte….
Un’unica sottile fenditura taglia la compatta e verticale parete di roccia grigia. Non ci sono possibilità di errori e di fuga.


Non un filo d’erba o un sasso che si muova. La linea è logica, diritta, dura e a tratti anche un po’ unta per le ripetizioni.


Agli occhi dei primi salitori non sono sfuggiti questi diedri/fessura. Ogni tiro è duro e continuo, da guadagnare, pochi i passi semplici. L'arrampicata è entusiasmante.


Poi, dopo essere usciti da un diedro/camino strapiombante, ci troviamo sotto una grande placca compatta e insalibile.
“E qui dove si va ?”


Uno sguardo a sinistra, mentre il mio compagno tenta di forzare le placche superiori, mi fa carpire il segreto…
Un’unica fessurina  scende obliqua per cinque metri nel vuoto assoluto fino ad un pulpito dal quale si inizia una attraversata su una placca sospesa indimenticabile. In breve arrivo sul passo chiave dove ora sfoggia un bel fittone, lo rinvio e mi fermo a pensare. “Come hanno fatto a passare di qui?!” Come per tutti i problemi, c’è sempre una soluzione: mi sporgo nel vuoto e, un metro sotto i miei piedi, in pieno strapiombo, noto due piccoli e vecchi chiodi, uno in alto ed uno più in basso con un moschettone.
Ecco svelato l’arcano mistero…. una traversata a corda, manovra a cui noi ormai non siamo più abituati!


Arrivo in sosta e, come spesso mi accade, mi stupisco per l’ingegno dell’apritore.
Ora la salita prosegue più semplice e, dopo un muro giallo aggettante, un camino ci conduce in cresta alla fine delle difficoltà.
Una veloce discesa in un orrida spaccatura ci fa arrivare alla base appena in tempo prima che si scateni il finimondo.
Sul sentiero di discesa, sotto un temporale torrenziale che toglie il respiro, ripenso alla mattinata appena trascorsa continuando a sorprendermi davanti a queste opere d’arte aperte nei mitici anni ’30.


P.S.: l’apritore Adolf Gottner, insieme a Ferdinand Krobath e Ludwig Schmaderer, dal 28 al 31 luglio 1934 realizzò la prima ascensione della cresta integrale di Peuterey, salendo lungo la via normale dell’Aig. Noire. Non uno qualunque....

Arguzia, determinazione e forza



Il mio compagno è fermo da quasi un’ora in un diedro/camino dall’aspetto alquanto ostico. Vedo che sale lento, mezzo metro, un metro, due… Poi urla “non ce la faccio” e contorcendosi a più non posso scende. Riprova, arriva al punto di prima… niente!
Dopo quattro o cinque tentativi, ormai distrutto, riesce nell’intento di superare quell’imbuto e, pronunciando frasi in aramaico antico, raggiunge la sosta.





Lo seguo, arrivo al passaggio chiave e ne capisco il motivo: sopra di me un camino verticale strapiombante di una quindicina di metri completamente liscio e unto dalle ripetizioni. Lego lo zaino in mezzo alle gambe e salgo ad incastro come un dado umano, spingendo con schiena e gambe sulle lisce pareti ma è duro… molto duro. Arrivo in sosta disidratato e con grande ammirazione per il primo salitore che ha superato il camino senza poter posizionare nulla!
La salita continua lungo un altro diedro/camino verticale e fisico poi i camini lasciano lo spazio alle fessure. Di colpo un traverso ed una stupenda spaccatura mi portano sotto un grosso tetto dove la salita è preclusa. A destra una lavagna compatta, a picco sul vuoto, segna l’unica possibilità di salita.




Per noi oggi è facile… un traverso di 40m esposto sul baratro gradato 8+ ma ottimamente chiodato ci conduce nell’unica linea di diedri che permette di uscire. Ai tempi dell’apertura dev’essere stata una bella doccia fredda per i primi salitori trovarsi davanti questa placca!




Ma con arguzia, determinazione e forza sono riusciti a passare dove molti avrebbero fatto dietro front…
Dalla sosta, appeso, ammiro i vecchi chiodi che salgono dal nulla e non posso fare a meno di scuotere la testa per lo stupore!
Altri due tiri in bellissimi diedri ci conducono fuori dalle difficoltà e in breve raggiungiamo i prati di vetta.



Il pensiero va a loro, agli apritori…
o meglio a Lui, il grande uomo del Nanga Parbat!
Me lo vedo impegnato prima nel camino, che striscia e sbuffa per sollevarsi, poi sulla grande placca sospesa a cercare una tacca dove posizionare gli scarponi, con negli occhi quei diedri, la salvezza, quaranta metri più in la…