Benvenuti nel mio Blog!
Un diario personale dove cercherò di non farvi trovare solo gradi e prestazioni sterili ma emozioni legate alle salite, paure condivise con amici, strette di mano, abbracci, racconti semplici e quant'altro ci consenta di sognare...

Petit Dru


Il Dru da Montenvers
Luglio 2000
Dopo tre anni sono di nuovo qui, sotto questa immensa parete. Questa volta, per scongiurare il danno precedente, abbiamo deciso di salire da Montenvers; il percorso è più lungo ma, in questi ultimi anni secchi, meno rischioso che dai Grands Montets.
In tre ore di cammino raggiungiamo il Rognon, una zona di terrazze e grandi massi alla base della parete ovest del Dru. La parete, dopo la grande frana del settembre 1997, è letteralmente cambiata e incute paura; uno squarcio di trecento metri di altezza per cento di larghezza segna una delle più estetiche pareti delle alpi.

Rognon du Dru
Solo essere qua sotto ci eccita; la nostra idea è quella di ripetere la Diretta Americana, che sale la parete ovest e si unisce alla via Magnone ’52 al bloc coincè .
Un bel masso si rivela il bivacco ideale per la notte. Lauta cena e tramonto indimenticabile.


Bivacco
Alle prime luci dell’alba siamo all’attacco; una lunga cengia verso destra ci porta all’inizio della via. Con noi due ragazzi olandesi.
Fessure e diedri/camini all’apparenza facili ci portano velocemente sulla cengia mediana dove riposano chili di scatolette, resti di corde, zaini, vestiti; dove noi oggi corriamo veloci al sole qualcun altro, prima di noi, non deve essersela passata bene…

Zoccolo
Arriviamo alla base del diedro di 45m; qui la musica cambia. Un’unica e stupenda fessura verticale/strapiombante segna per una lunghezza l’intera porzione di parete, non si può sbagliare.
Le difficoltà crescono enormemente ma, i nostri “amici a quattro camme” ci vengono incontro…


Diedro di 45 metri
I tiri successivi, lungo sottili fessure verticali, ci sembrano ancora più impegnativi.

Sopra il diedro di 45 metri

D’un tratto Giò urla e vola; qualche metro sotto un bel Camalot però fa il suo dovere.
Una botta all’anca però non ci ferma.
All’inizio del pomeriggio sbarchiamo nel grande diedro Mailly e raggiungiamo la nostra meta.


Verso il diedro Mailly
La discesa in doppia la facciamo in pieno sole.
Ad un tratto della discesa un boato scuote l’aria e la montagna.
Dall’alto una enorme valanga si è staccata dalla niche e sta precipitando a valle; due doppie più in basso non ci saremmo stati più… Fortuna vuole che non abbiamo lasciato nulla sulla cengia d’attacco.
Stanchi ma felici raggiungiamo il nostro giacilio; è tardi e sia noi che i due olandesi decidiamo di fermarci a dormire.
Divideremo quello che resta della cena della sera prima in quattro; una busta di purè al prosciutto: squisita!
La mattina ci sveglieranno direttamente loro con una tavoletta di cioccolato in cambio; che bella questa reciprocità alpina!
Diluvia…
Sotto un’acqua torrenziale ripercorriamo la ripida morena del Dru rischiando un paio di volte di ammazzarci sui massi scivolosi e, fradici ed infreddoliti come pulcini, raggiungiamo il beneamato trenino.
Una bellissima avventura!

Montenvers

Il triciclo


Gennaio 1997
Corso di cascate di ghiaccio Scuola “L. Pellicioli”. Prima uscita, destinazione Val Paghera.
Quest’anno c’è molta neve e chi sale in Val Paghera è costretto a lasciare la macchina poco dopo il primo tornante, quindi due ore a piedi. Non noi !
Non molliamo… macchine catenate e via!
Davanti apripista la Y10 4x4 di Matteo, dietro gli altri, gli “Unni”…
Ad un certo tratto la Y10 sbanda ed esce dalle canaline lasciate da qualcuno che ci ha preceduto; per oggi è finita. Il treno si ferma.
Scendiamo tutti dalle auto; non facciamo tempo ad avvicinarci all’auto ferma che, da dietro, qualcuno suona il clacson incitando a muoversi.
Pane per i denti di Frank…
Questa la scena: “Uehh, biund, calma eh” urlando.
Poi, girandosi verso la Y10: “Ndom, Gigi, dam una ma a spostà stò triciclo”
Risate generali rimbombano nella valle.
Il “triciclo” è subito rimesso nella carreggiata e riparte.
Dopo altri 300m è la volta del Peugeot 205 diesel di Frank; senza catene (!), in quattro, si ferma, non ce la fa più.
Frank, con fare “mansueto”, scende e ferma Bruno che hai il Pajero con quattro catene chiedendogli di dargli una tiratina; detto e fatto.
E qui la seconda scena tragicomica fantozziana della giornata…
Frank attacca la corda al gancio della jeep, poi al gancio del Peugeot e dice a Bruno di tirare; Bruno parte a manetta, senza mettere in tensione la corda, e il gancio della macchina di Frank esplode sotto fragorose bestemmie…
Una scarpata alla portiera e la macchina viene lasciata dov’è; Frank è chiaro: “Lasela chè, an ghe penserà stasira!”.
Se non siamo passati noi non passerà nessun altro! Prima di partire abbiamo già il mal di pancia per le risate. Gli allievi sono di… ghiaccio!
Veloce scalata delle cascate, padelle addosso a chiunque, macchie di sangue sulla neve; sembra una battaglia. lle 14.00 in un crocchio di persone siamo al piazzale superiore ad aspettare tutti. Fa freddo, oltre i 10 sotto zero. Per scaldarsi, Frank e Gigi, le due macchiette insieme a Basa, decidono di fare un “focherello”; dopo 10 minuti ritornano con circa 40kg di rami secchi ! Il focherello viene acceso con la grappa di Frank, e le fiamme raggiungeranno i dieci metri di altezza…. Però ci si scalda e si ride a crepapelle.
Il massimo lo raggiungiamo verso le 16.00 quando, ritornati tutti, iniziamo a scendere a valle. La prima auto ad essere recuperata è quella di Frank. Essendo io il più leggero del gruppo, sentenzia: “Cisanel, salta so te”.
Salgo, metto in moto e nel mentre altri quattro tentano ti togliere la macchina dalla buca spingendola come degli ossessi.
Ad un tratto sento un urlo: “Schisaaaaaaa ol pedal !!”
Preso dalla foga del gruppo, schiaccio tutto l’accelleratore; il motore, a freddo, non esplode per miracolo… un fumo nero invade l’aria…. un rumore assordante avvolge tutto… poi, di colpo, la macchina esce dalla buca ad una velocità impressionante, sembra un missile! Io sopra faccio appena in tempo a sterzare per non finire giù nella valle, dalla parte opposta nella quale ero bloccato! Che folli… Però abbiamo ottenuto il risultato sperato.
La giornata non è ancora finita… speriamo almeno di arrivare a casa sani e salvi !
Di sicuro una delle giornate più allegre e stravaganti che abbia mai passato in 25 anni di vita…


Valanga



Febbraio 1996
Ultima uscita del corso cascate. Una bellissima giornata di sole, caldo, dopo due giorni di vento forte…
Voglia di scalare a mille… Attacco “Vertigine di Porcellana” con i miei due allievi, salgo un tiro e sosto a destra sotto un tetto di roccia, al riparo da eventuali scariche.
Sotto di noi, nel canalone, la fidanzata di Enrico ci sta a guardare e scatta qualche foto.
Mi sposto a sinistra un paio di metri e salgo il muro verticale; mi fermo, metto un chiodo e veloce riparto.
Poi un boato squarcia l'aria…
Non faccio a tempo ad alzare la testa che vedo una valanga, enorme, polverosa, che viene verso di me…
In una frazione di secondo mi passa di tutto nella mente… mi vedo morto!
Poi urlo… la valanga mi colpisce in pieno e cerca di strapparmi via dal ghiaccio…
Fortuna vuole che le mani sono bloccate nelle dragonne, alle quali mi appendo con tutta la mia forza. Non devo mollare.
Il buio… una forza immane mi tira verso il basso… la neve mi sommerge, entra da tutte le parti, mi invade… non riesco a respirare…

Poi la luce… sono morto? No, sono vivo, dolorante ma vivo… non era il mio momento!
I miei compagni urlano… chiamano… rispondo e tirano un sospiro di sollievo…
La slavina mi ha colpito in pieno ma, fortunatamente, molto fortunatamente, era di neve polverosa; se mi avesse preso nel canalone, la forza del vento mi avrebbe spazzato via ma qui, sul ghiaccio, le piccozze mi hanno tenuto ancorato!
Mi faccio calare in sosta, e solo in quel momento ci ricordiamo che sotto, a fotografarci, c’era qualcuno… Giù di corsa nel canalone, urlo, cerco qualche cosa ma non trovo nulla.
Vedo un punto nero sul fronte della valanga… scendo, mi avvicino e scorgo la fidanzata di Enrico; è viva, anche lei per miracolo!
E’ rimasta sepolta dalla vita in giu’ in questo cemento a presa rapida; urla, piange, sviene… una scena agghiacciante!
Prendo il telefonino e chiamo il 118; poi mi avvicino a lei, la sostengo moralmente, cerco di scavarle intorno per estrarla ma mi rendo conto che devo fare piano perché… è tutta rotta!
Mi raggiungono anche gli altri proprio mentre l’elicottero giunge sul posto e cala il soccorritore ed il medico. Puntura… scavo… urla… vento… freddo... di nuovo elicottero… poi il silenzio.
Corriamo giù in valle e poi in ospedale.
Esito finale: io solo qualche botta e tanto, tanto spavento. Lei, bacino rotto e due femori rotti… se la caverà con sei mesi di gesso e tanto dolore…
Grazie Signore...

Chi ha spento la luce ?


Agosto 1999
Quattro giorni in Briancon; siamo in tre, Giò, Adelio e io.
La forma è buona e si punta in alto.
Il primo giorno via facile.
Il secondo decidiamo per la Tete d’Aval; io ho già salito due vie e mi piacerebbe fare il tris.
Così propongo la Memoire de l’eau, via il cui nome si ispira alle stupende placconate superiori a buchi. Avevo visto le placche in discesa dopo aver salito le altre vie e mi era rimasta impressa la loro compattezza e rugosità!
La prima parte fino in cengia tocca a me. Supero agevolmente i primi due tiri e raggiungo la fessura del terzo; parto deciso ma ad un certo punto, a metà fessura, qualcuno spegne la luce…
"Ma... chi ha spento la luce ?" mi viene spontaneo.
Ebbene si… non ci siamo ricordati che oggi 11 agosto 1999 c’è l’eclisse totale di sole !!
Sono sorpreso a qualche metro dallo spit e nella semioscurità raggiungo il successivo tra imprecazioni varie perché i miei compagni si stanno godendo pacificamente lo spettacolo e si dimenticano di darmi corda.. L’eclisse dura poco, qualche minuto, ma la spettacolarità dell’evento visto appesi in parete è notevole… indimenticabile.

P.S.: Quella dell'11 agosto 99 è stata l'unica eclisse totale di Sole visibile dall'Europa da 38 anni a questa parte. L'eclisse precedente fu quella del 15 febbraio 1961. Per l'eclisse dell'11 agosto, l'ombra proiettata dalla Luna aveva un diametro di circa 100 km. L'ombra si è spostata da ovest verso est ad una velocità media di 1800 km/h, dall'Oceano Atlantico al Golfo del Bengala. Il vecchio continente è stato attraversato in pieno dalla fascia della totalità. La durata massima della totalità è stata di 2 minuti e 23 secondi in Romania. Solo il 3 settembre 2081 si verificherà un'eclisse totale di Sole visibile di nuovo dall'Europa centrale. In questa occasione l'Italia sarà più fortunata perché la fascia di totalità comprenderà la Lombardia, il Veneto, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia.

I morti


Luglio 1999
Siamo ben allenati e in circa due ore e un quarto raggiungiamo il rif. Gianetti; sono le nove e un bel sole splende nel cielo. Tutt’intorno neanche una nuvola. Il meteo prevede una giornata super. Poco dopo ci raggiungono due ragazzi stranieri. Mentre beviamo un sorso d’acqua, il rifugista esce, scruta il cielo e infine davanti a tutti esclama: “anche oggi il Badile vuole i suoi morti”. Noi allibiti ci guardiamo e ci… tocchiamo! Continua dicendo che, nonostante ci sia il sole, la giornata non sarà bella; invita pertanto noi e i ragazzi stranieri a fermarci al rifugio dicendo che la giornata successiva sarebbe stata migliore; che tecnica! Un grande venditore…
Noi non lo ascoltiamo nemmeno e, veloci, ci dirigiamo verso la nostra meta, la parete ovest della Punta Angela.
La salita si svolge in centro parete lungo fessure e diedri verticali di ottima roccia, ben proteggibili, interrotti solamente al secondo tiro da una stupenda placconata verticale. In questa lunghezza, i primi salitori, con gli scarponi ai piedi, dovettero fare grande uso di chiodi a pressione, piantandone circa 26 in un tiro di 40m. Con le scarpette d’arrampicata ora è veramente una goduria!
Tiro dopo tiro raggiungiamo la cuspide finale per poi scendere lungo la stessa parete in corde doppie su una via sportiva. Verso le sedici siamo nuovamente alla base. Ora il tempo si è guastato veramente e un forte temporale si abbatte su di noi; scendendo veloci sulla morena, poco prima del rifugio, sento un botto terribile, seguito da un rantolo… Sono davanti e girandomi vedo Giò completamente disteso a terra su un masso di due metri per due. All’inizio sembra morto, non si muove e non parla. Rimane disteso per circa un minuto, con l’acqua che lo inzuppa, poi si alza e, con gli occhiali messi di traverso, esclama: “ahia, che botta!”
La scena è da immortalare… scoppia una risata !
Poco sotto il rifugio, il tempo si rimette al bello; anche oggi il Badile non ha voluto i suoi morti!

I topi del Gervasutti


Grandes Jorasses e Petit Jorasses dalla Val Ferret
Giugno 1999
L’obiettivo di questo fine settimana è la ripetizione di una nuova via sulla parete ovest del Petit Mont Greuvetta, bella parete di seicento metri che, purtroppo, sfigura un poco di fronte alla est delle Jorasses.


Petit Mont Greuvetta
Dopo circa due ore di cammino su terreno impervio e poco frequentato, giungiamo sul ghiacciaio delle Jorasses, in vista del bivacco appollaiato su uno sperone roccioso. L’ambiente è magnifico. I ghiacci lo attorniano sui quattro lati e il sole che tramonta dietro le Grandes Jorasses illumina a giorno la sua lamiera. Stanotte dormiremo qui e domattina scenderemo all’attacco della nostra meta.

Grandes Jorasses dal Petit Mont Greuvetta

Ad un certo punto, avvicinandoci al bivacco, notiamo due figure che escono sulla terrazza e, di colpo, gettano qualcosa di grosso sul ghiacciaio.
“Ma… è un materasso! Un materasso? Ma che cavolo stanno facendo quei due…”
Raggiungiamo il rifugio e capiamo l’arcano mistero…
Nei mesi precedenti la nostra visita, il bivacco è stato letteralmente preso d’assalto dai topi (topi??... sul ghiacciaio??...) che hanno divorato un materasso e qualche coperta e lasciato chili di “scorie” in tutto il luogo….!
Che schifo!!
Stanotte dormiremo accucciati in quattro nell’angolo più pulito…della topaia.



N.B.: due anni dopo, la situazione non è cambiata granchè… I materassi e le coperte sono stati cambiati, i topi ci sono ancora nonostante il “mangiare” lasciato da qualcuno per eliminarli.
La prossima volta mi porto un gatto…

L'ultima via

Aprile 1998
Ultimo tiro della via Impero dei Sensi al Casale. Oggi sono a mille! Ho salito tre quarti della via da primo di cordata e arrampicando pure bene; via molto bella, roccia fantastica.
Dietro di me Ivano è da un po che mugugna qualcosa; usciamo dalla via, solita stretta di mano fra amici che condividono amori e sogni in comune e felici commentiamo la giornata.
Ivano, lapidario, con una smorfia da persona distrutta, esclama: “Penso sia la mia ultima via, smetto di arrampicare”.
Stupiti ci guardiamo, pensando che stia delirando.
Detto e fatto: per qualche mesetto, forse di più, non ci accompagnerà più per crode.
E’ solo una pausa riflessiva…
Rinascerà più grande e forte di prima!

Una freccia al cuore

Una telefonata di Franco alle otto di sera di una fredda giornata di novembre 1998….
Una freccia al cuore…
Bastano poche parole: “Carlino è caduto su una cascata, ci ha lasciato…”
In pochi secondi mi ripassano nella mente tutti i bei momenti trascorsi insieme.
Che tipo che era Carlo ! Veramente una brava persona, di quelle persone che quando incontri lungo “la strada della tua vita” non puoi fare a meno di non amare…
Grazie Carlo per i bei momenti trascorsi insieme.

Val Bione - 1997

Wolfgang Stephan


Luglio 1998
Chiediamo un binocolo al rifugista e cominciamo a guardare la parete, cercando di individuare la linea di salita e, soprattutto, l’attacco.
Il rifugista ci si avvicina: “dove andate ?” chiede
“Alla Ratti-Vitali” rispondiamo
“A che ora volete partire ?”
“Mah..” uno sguardo tra noi “pensavamo alle 4”
“O partite alle 2 o non vi lascio partire” sentenzia.
All’inizio ci rimaniamo male… poi, valutiamo che, se ce lo dice il rifugista, forse è meglio ascoltarlo.
Qualche ora di sonno, colazione e poi si parte.
Al buio saliamo la morena e il successivo nevaio che ci conduce al colatoio roccioso che sale al colle dell’Innominata. Superiamo il colatoio con passi non semplici e ancora al buio arriviamo al colle. Qui ci prende un po’ di ansia; dobbiamo calarci al buio in un canale ghiaioso che porta sul Freney. Alla base una lapide in ricordo di Andrea Oggioni: una prece.
Attraversiamo un labirinto di Minosse di crepacci; al ritorno non riusciremo più a capire dove siamo passati la mattina…
Alle prime luci attacchiamo; la salita scorre tranquilla, la giornata resta discreta con il sole che gioca a nascondino tra le nuvole. A metà salita veniamo raggiunti e superati da una cordata “treno”: la motrice è Jean Luc Amstutz, il rimorchio un anziano signore che scala di corsa.
Nei diedri finali l’arrampicata diventa più impegnativa ma sempre bella ed esposta.


Una lunga discesa in doppia ci riporta alla base e, dopo un’ora di ricerca troviamo il “bandolo della matassa” per uscire da quell’inferno di crepi.
La cordata treno raggiunge il rifugio alle 20.00, noi circa un’ora dopo; grazie al rifugista che ci ha dato quel buon consiglio…
La mattina dopo scendiamo in compagnia dell’anziano signore all’auto (la motrice Amstutz era scesa a notte fonda per un’altra salita con cliente la mattina); ci chiede di accompagnarlo a Courmayeur e volentieri lo accogliamo sulla macchina. Comincia a raccontarci le sue salite e ad un certo punto ci racconta della sua salita con Diemberger all’integrale di Peuterey: capiamo che si tratta di un grande personaggio. Alla fine lo conosciamo bene: è austriaco e si chiama Wolfgang Stephan ! Non potevamo avere compagno migliore.

La scarpa



Giugno 1998
Un’alba stupenda ci sorprende mentre veloci saliamo la val Torrone in direzione del Picco Luigi Amedeo.
La nostra meta è la via Taldo-Nusdeo, un capolavoro di arditezza aperto dalla forte cordata brianzola nel lontano 1959.
In due ore e quaranta siamo all’attacco; le sci alpinistiche di quest’inverno si fanno sentire!
Lasciamo scarpe e zaino all’attacco e iniziamo la nostra salita.

Ogni tiro è stupendo, su roccia fantastica; fessure e diedri verticali da proteggere ci conducono sotto l’enorme tetto finale che, astutamente, viene evitato con una esposta attraversata verso sinistra.

Dopo cinque ore siamo fuori; qualche doppia e in scarpette scendiamo il canale che riporta all’attacco.
E qui la sorpresa… lo zaino di Roby è completamente mangiato ma, quello che è più bello, una delle mie scarpe non c’è più!!
Mentre lui impreca contro le capre che gli hanno distrutto lo zaino, io impreco contro quel “qualcuno” che si è impadronito della mia scarpa… Per mezzora giro a vanvera in cerca, pensando che sia caduta da qualche parte; alla fine, disperato, mi rassegno ad una discesa senza scarpe lungo l’interminabile val Torrone ricoperta di ortiche…
Mentre ricompongo lo zaino noto però un buco di talpa nel terreno che finisce sotto un grande masso; curioso mi accosto e, ad un metro e mezzo dall’ingresso, nel buio più totale, riesco a scorgere la mia scarpa. “Dannata talpa”. Con l’aiuto del martello allargo il buco e, solo dopo aver scavato una trincea, allungandomi allo spasimo, con il cavanut nella mano, riesco a recuperare la benedetta scarpa.
Oltre il danno la beffa… la scarpa è stata completamente mangiata dalla talpa!
Entrambi fortunati, io e la talpa.
Io perché ho ritrovato la scarpa, la talpa perché tra la fame e il nervoso… se fosse stata nella tana avrebbe rischiato grosso!

Supercouloir




Marzo 1998
Le gambe cominciano a farsi sentire sotto il peso dello zaino; ancora qualche metro per raggiungere il Col Flambeaux e… è finita! Attendo Mimmo e insieme raggiungiamo gioiosi il rif. Torino dove, inaspettatamente, incontriamo due amici con i quali condividiamo, insieme ad una bottiglia di vino, la buona riuscita della salita.
Come sempre accade, solo ora, quando tutto è finito, posso ripercorrere le emozioni della giornata e assaporarle pienamente…


Sono le tre di una limpidissima notte di fine inverno quando, sotto un cielo stellato che toglie il respiro, calziamo gli sci, dopo aver trascorso una notte quasi insonne. Il vento è lieve e la temperatura fin troppo alta.
Una discesa sulla neve resa dura dal gelo ed un tratto in salita ci conducono sotto la nostra meta che, nel buio della notte, appare ancor più impressionante ed impegnativa; il Supercouloir è li, davanti a noi, regolare, quasi perfetto…
Le condizioni sembrano buone, ma il progetto di salire per l’attacco originale svanisce a causa delle temperature elevate di questi giorni.
Siamo in due, io e Mimmo; è da tempo che parliamo di questa salita e ora siamo qui, dopo una stagione trascorsa su cascate e couloir.
Un ultimo sguardo alla linea da percorrere e poi via. Sono le sei quando attacchiamo; i tiri di roccia iniziali toccano al mio compagno: le prime fessure, ancora al buio e intasate di ghiaccio, ci richiedono da subito grande concentrazione. Il sole ci coglie sul secondo tiro di ottimo granito rosso; è bellissimo arrampicare quassù in inverno, peccato non avere le scarpette!



Abile e veloce Mimmo, in un batter d’occhio, raggiunge la sosta. Altri due tiri su misto facile ci conducono nel couloir vero e proprio; percorriamo una lunghezza senza grosse difficoltà poi un bellissimo tiro su neve dura a 80°/85°, improteggibile, che ci regala forti emozioni.










Un altro tratto poco impegnativo ci porta sotto quello che oggi si rivelerà il tiro chiave: un muro di 30m verticale ed improteggibile a causa del poco ghiaccio presente.


Parto deciso e subito mi trovo appeso su uno strato di ghiaccio largo trenta cm e spesso cinque; sono tranquillo e deciso raggiungo la sosta. Veramente un tiro impegnativo, ripagato dai complimenti del compagno che, sotto, tira un sospiro di sollievo!


Segue un altro stupendo tiro a 80°/85° continuo ma su ghiaccio buono, dove gli attrezzi “mordono” bene. Abbiamo superato la metà e, ad un tratto, fermandoci a guardare, ci troviamo immersi in un mondo magnifico, fatto di silenzio, giochi di luce e nastri di ghiaccio incassati e protetti da enormi pareti di granito.


Il ballo continua e, tiro dopo tiro, raggiungiamo l’ultimo salto verticale che, su bellissimo ghiaccio, conduce alla fine delle difficoltà; è un peccato non uscire in vetta ma la mancanza di attrezzatura da bivacco, la grande quantità di neve ormai marcia in alto e, sinceramente, un po’ di stanchezza, ci fanno preferire un ritorno dallo stesso couloir a corde doppie.


Una calorosa stretta di mano fra due amici, un veloce sguardo all’orologio che segna le 12.30 e gù veloci; con circa 14 corde doppie siamo di nuovo all’attacco.
Il tempo è sempre stupendo e il sole pomeridiano ci permette di fare le ultime fotografie a quello che è stato e resterà uno dei capolavori realizzati dalla cordata Gabarrou-Boivin nel lontano 1975!
La risalita al Col Flambeaux è massacrante; sotto un sole cocente, sembriamo due naufraghi alla ricerca della terraferma…
Alle 18.00 siamo al Rif. Torino; sui nostri volti la stanchezza è celata dietro un grosso sorriso. Abbiamo vissuto una giornata intensa, piena di emozioni, una di quelle giornate che ti lasciano quel qualcosa che è difficile raccontare… quel qualcosa che si può solo vivere… per continuare a sognare!


Nel paese dei Troll


Anche questo venerdì di fine inverno mi ritrovo a preparare con cura lo zaino e a mettermi in viaggio con gli amici, bramoso di vedere luoghi mai visti e vivere una nuova avventura.
Fin qui nulla di strano, ma ciò che rende speciale questo nostro ennesimo viaggio è la destinazione: Rjukan, piccolo paese nel sud della Norvegia.
L’idea di un viaggio in Norvegia era nata lo scorso anno durante il corso di alpinismo di base organizzato dalla nostra Scuola Leone Pellicioli; tra gli allievi iscritti, infatti, figurava Monica, il cui cognome ha subito attratto la nostra attenzione perché chiaramente straniero.
Ben presto scoprimmo che era nata e cresciuta in Norvegia e che da qualche anno viveva nella nostra bella città. Il nostro spassionato amore per i monti ci porta ad indagare sulle possibilità di praticare dell’alpinismo in quei luoghi lontani e con nostra grande sorpresa scopriamo che qui il cascatismo è molto diffuso e che proprio a Rjukan raggiunge livelli estremi.


Ecco perché quel venerdì ci siamo ritrovati con le auto stracolme di attrezzatura e vettovaglie e abbiamo affrontato un lungo viaggio, che ci ha visto attraversare tutta l’Europa fino alla città danese di Fredrikshaven, porto d’imbarco per la Norvegia (*).
Dopo una meritata dormita sul traghetto giungiamo a Larvik la domenica mattina e immediatamente notiamo il diverso stile di vita e soprattutto la tranquillità dei luoghi, non turbati dalla frenesia e dal traffico delle nostre città.
Nei 200 km che separano Larvik da Rjukan le strade si susseguono pressoché deserte; il paesaggio è idilliaco, variopinti paesini che si alternano ad immense foreste e laghi ghiacciati: qui davvero la natura è padrona incontrastata.



L’arrivo a Rjukan ci lascia sbalorditi per l’enorme quantità di cascate di ghiaccio presenti; la stranezza sta inoltre nel fatto che ci troviamo a poche centinaia di metri sul livello del mare anche se la temperatura è paragonabile a quella che troviamo in inverno sulle alpi oltre i 4000 m di quota!


La nostra vista spazia estasiata lungo nastri di ghiaccio ed effimere stalattiti e solo il gelido e onnipresente vento del nord ci riporta alla realtà.

L’arrivo alle “Rjukan Hytteby” (casette di legno attrezzate di tutto quanto necessario) è cosa gradita a tutto il gruppo; ora infatti inizia la nostra avventura!



Nel pomeriggio incontriamo Jon, guida alpina del luogo, che ci fornisce con cortesia e disponibilità cartine e guide ma, soprattutto, interessanti indicazioni sulle cascate.  
Il giorno seguente il sole ci sorprende e ci scalda con i suoi raggi mentre saltiamo da un sasso all’altro in un bellissimo canyon alla base di imponenti colate di ghiaccio.




Ad un tratto veniamo sorpresi da uno spettacolo spaventoso; tonnellate di ferro arrugginito riversate nel canyon, a testimonianza dell’esistenza di una ormai dismessa centrale idroelettrica.
Facendoci largo tra enormi lamiere e fili di ferro raggiungiamo l’attacco della cascata scelta, “Sabotorfossen” e, dopo i soliti preparativi, attacchiamo decisi.


Frange di ghiaccio secco ci sbarrano la strada e, alluscita della prima candela, possiamo vedere la cascata nella sua intera maestosità. Un tiro impegnativo incassato tra le rocce ed un muro più ampio ci portano all’ultimo salto, 25 metri verticali di ottimo ghiaccio compatto che ci ghisano per bene gli avambracci.


L’uscita in mezzo al bosco ci conduce davanti alla centrale di Vemork: il vecchio edificio in pietra, unito al forte vento ed al silenzio del luogo, incute timore e allo stesso tempo tristezza; proprio qui, durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi avevano scoperto e prodotto “l’acqua pesante” per la creazione della bomba atomica!

L’arrivo delle truppe inglesi liberò il luogo dall’invasione tedesca ed evitò possibili disastri nucleari. Oggi la centrale è un museo dell’industria ma il ricordo dei tempi passati, gli enormi portoni dove entravano i vagoni ferroviari e le torrette di avvistamento tedesche lasciano un non so che di strano in testa…
Così, tra una cascata ed una gita sci alpinistica, e naturalmente una veloce visita ai luoghi più significativi, i giorni a nostra disposizione giungono al termine.


Ci aspetta il lungo viaggio di ritorno ma siamo felici per la bella esperienza vissuta, i nuovi amici e, soprattutto, per avere un poco conosciuto questa terra carica di fascino e mistero (**).

(*) il lungo viaggio in auto (circa 18 ore + 8 ore di traghetto), non esistendo nel 1998 i voli low cost, era l’unica soluzione che permetteva di contenere i costi.

(**) Racconto tratto dall’articolo pubblicato sulla Rivista del CAI di Marzo-Aprile 1999.






















































Due bambini...

Vaghi ricordi….
Settecento chilometri percorsi in macchina nell’arco di 15 ore…
Una marea di neve…
Rischio valanghe a mille…
Cascate tutte coperte dalla neve…
Io avevo un bel cappello di lana marrone a forma di tuba, Ivo qualcosa di simile…
Io davanti slegato ma fluido che rido, Ivo dietro slegato, un pò più rigido, sbraitando frasi contorte miste a risate…
Qualcuno avrà pensato che eravamo pazzi, ne sono convinto.
Eravamo solamente in quel periodo euforico che coincide con la giovinezza…

"Ma non porterete questo ragazzino con voi..."



La Tour de Jorasses salendo al Rif. Boccalatte

Luglio 1998.
Venerdi sera mi chiama Massimo: “andiamo a fare il Diedro Machetto alla Tour de Jorasses ?”
“Ci sono”, rispondo.
“Ci troviamo domani a mezzogiorno a casa mia, siamo in tre, viene anche Mariano”.
Puntuale a mezzogiorno sono da lui; carichiamo tutto e partiamo alla volta di Missaglia, dove recupereremo Mariano.
Ci accoglie sua madre, una signora di poco più di mezza età, che ci esorta a stare a casa.
“Ma dove andate, a cercare di farvi male ?” esclama.
E poi, continuando: “Non porterete con voi anche stò ragazzino?” dice, indicando me!
Massimo ride e risponde: “signora, lui è il più in gamba di noi tre!”

Tour de Jorasses con il Diedro Machetto


Diedro Machetto


Diedro Machetto - tiro chiave



Diedro Machetto - parte alta