Benvenuti nel mio Blog!
Un diario personale dove cercherò di non farvi trovare solo gradi e prestazioni sterili ma emozioni legate alle salite, paure condivise con amici, strette di mano, abbracci, racconti semplici e quant'altro ci consenta di sognare...

Messico e nuvole...


Qualche mese fa, durante una uscita del nostro corso di alpinismo, un amico mi chiese: “Vai ancora a scalare all’estero?”
La risposta fu pronta “Si, sono quasi in partenza. Quest’anno a dicembre vado in Messico”
Il suo stupore fu grande: “In Messico ?! Ma ci sono montagne in Messico ?!”
Poi restò ancora più stupito, come lo ero stato io la prima volta che ero venuto a conoscenza del posto, quando gli dissi che ci sono pareti di roccia stupenda alte fino a 600m….
Chi pensa che il Messico sia solo fiesta, tequila, belle spiagge, vulcani e siti archeologici Aztechi e Maya si sbaglia di grosso…



Nel nord del Messico, nello stato di Nuevo Leon, a poca distanza da Monterrey esiste un vero paradiso per arrampicatori; il suo nome è Potrero Chico, il piccolo canyon.
Si tratta di un canyon a forma di ferro di cavallo circondato da grandi pareti di stupenda roccia calcarea.





Lo raggiungiamo dopo un lungo volo, qualche disagio aeroportuale e un viaggio in taxi. Siamo io e Roby, ormai collaudati da lunghi anni di scalate in giro per il mondo.
Subito ci balza all’occhio la diversità di stile di vita messicano; slow… direbbero i “guys” americani.
Qui non c’è fretta, la vita scorre lenta e, per noi abituati allo stressante “tutto e subito”, sembra di ritornare indietro nel tempo di cinquant’anni.





Tutti educati, sempre disponibili ad aiutarti, sia che si tratti di trovare un posto dove pranzare o un passaggio in auto per la rest house. Aiutare il prossimo è una priorità che noi abbiamo ormai persa. Qui abbiamo fatto conoscenza con Gilberto, un signore non più giovane che nonostante gli abiti sdruciti e l'auto a pezzi (che macchina!!! averne una così da noi...) ogni giorno ci stupiva per la sua enorme cultura e per la grande disponibilità che ci dimostrava. Un vero amico...



L’ambiente è bellissimo; stretti canyon si dipanano a destra e sinistra da quello principale e terminano sotto grandi pareti verticali. Nonostante la presenza di altri scalatori (per fortuna non molti) basta camminare dieci minuti per trovarsi completamente isolati. La bellezza del luogo è anche evidenziata dalla presenza di cactus, agavi e palme sia sul terreno che in parete; particolare questo che richiede un poco di attenzione nella scalata, soprattutto in discesa in corda doppia.
Dopo tre ore dall’atterraggio all’aeroporto di Monterrey siamo già attaccati ad un tiro di 5.10c, per gustare la buona roccia.
E… che roccia !! Tra le più belle da noi incontrate, allo stesso livello se non migliore di quella del Verdon e del Sanetch…
Basta poco per prendere confidenza e nei sette giorni che trascorriamo qui – dei quali due di pioggia - riusciamo a scalare un pomeriggio in falesia e salire cinque bellissime vie fino a 500m di lunghezza.







Ogni via è simile ma diversa dalla precedente; placche, fessure verticali, diedri strapiombanti, tetti aggettanti…. Di tutto un po’, insomma. Il tutto condito da un’ottima chiodatura, a volte posizionata un po’ male.







L’entusiasmo raggiunge il suo apice su “Black Cat Bone”, nove tiri, alcuni al di la della verticale, su roccia fenomenale dove la padronanza del grado 5.10d (il nostro 6b) si rende necessaria per superare molti passaggi…




Ma un’altra sorpresa, stavolta non proprio bella, ci aspetta… Dopo 13 tiri sulla parete Jungle Wall raggiungiamo una cresta e la fine della nostra salita.




Roby mi recupera quando ad un tratto lo sento urlare “Nooo… porco cane…. mi ha morsicato!” Raggiungo veloce la sosta e lo vedo ancora imprecare contro un centipede che, nascosto nella corda, lo ha morsicato ad una caviglia…
Ricordiamo che sulla guida di arrampicata che abbiamo comprato parlavano di un centipede velenoso… Non ci voleva… ci aspettano 13 corde doppie per tornare alla base…
Con un po’ di apprensione dopo quasi due ore tocchiamo terra quando Roby ormai fa quasi fatica a camminare dal dolore. Fortuna vuole che quando raggiungiamo la nostra stanza e leggiamo la guida apprendiamo che il centipede è si velenoso ma non letale; un sospiro di sollievo… che facciamo seguire da un bel litro di birra Tekate ed un’ottima “hamburghesa” !!

Uno accanto all'altro...


Dopo sette lunghi giorni di attesa, alle 12 circa del 9 novembre apprendo da Twitter la tragica notizia.
La guida alpina Olivier Sourzac e la sua cliente Charlotte De Metz non ce l’hanno fatta…
La speranza di trovarli ancora in vita, per chi conosce e frequenta quel tipo di montagna in inverno, era minima ma… la speranza è un qualcosa a cui bisogna pur credere.
La notizia mi scuote e mi lascia incredulo…
Conosco la zona per esserci passato qualche anno fa in occasione della discesa dopo la salita allo sperone Walker e questo mi strugge ancor di più; nella mia testa rivedo le rocce dove si sono addormentati…
Per una guida preparata come Oliver la discesa doveva essere poco più di una passeggiata, ma nelle condizioni che neanche minimamente penso abbiano trovato… è stata la fine.


Ora riposano uno accanto all’altro su montagne più alte.
Inutili qualsiasi tipo di critiche e polemiche su quanto successo; solo un pensiero.
Ed un monito per noi alpinisti che pensiamo di poter scalare “tutto e subito” qualsiasi cosa: nell’era dell’IPhone, degli elicotteri, dei satelliti, l’unico insegnamento è quello di affrontare la montagna con grande rispetto.
Solo lei decide se e come possiamo salire e scendere…

Il sole ? Sparito...


Ancora quattro protezioni e poi sono in sosta; quaranta metri sotto Roby urla: “Vedi la sosta? Cerca di fare in fretta, sto gelando”.
La raggiungo, la via è finita. Roby si rifiuta di fare l’ultimo tiro, ha troppo freddo. Chissà quante me ne ha tirate dietro…
Me la sono cercata… sapevo che avrei preso freddo però va bene così, è quello che volevo. E’ Roby che non lo sapeva: o meglio, come me, forse sperava in un poco più di caldo. Stamattina all'attacco della via il sole era già sparito.
Meno male che l'intenso esercizio ginnico sulle staffe scalda non poco, così mentre chi scala sta bene (con due pile), chi è in sosta con i guanti ed il piumino ha freddo!
Oltre il danno la beffa. La gente che passa sul sentiero poco distante da noi è al sole e sta in maglietta a mezze maniche!
Penso che più di una persona oggi ci abbia dato dei pazzi.
Buttiamo le doppie. Le soste sono buone, lasciamo qualche moschettone di calata.
Oggi sono completamente assorto nella scalata, non sento più neanche il freddo; mi sveglio solo quando in doppia supero lo strapiombo superiore e, di colpo, mi trovo appeso a dieci metri dalla parete con quel tantino di vuoto sotto le chiappe!
Sotto qualcuno ci è venuto a vedere da vicino e ci chiede notizie sulla via.
In breve raggiungiamo i ghiaioni basali e il sentiero; e il sole ? E’ già sparito un’altra volta…












La via… una via particolare, ne bella ne brutta; volevo dare uno sguardo agli strapiombi del Corno e questa è stata l’ideale. Chiodatura abbondante ma ormai obsoleta; forse qualche protezione sui tiri poteva essere posizionata meglio, evitando così inutili allunghi in diagonale e relativi attriti di corde.

Il flusso della vita



Seduto nel palchetto guardo intensamente il movimento delle sue mani e ascolto la melodia che mi entra nella testa e mi dona un senso di pace…. di relax…
Note pacate che ti avvolgono in un’atmosfera sognante e, a secondo dello stato d’animo, infondono profonda tristezza o grande determinazione e voglia di vivere…
Voglia di vivere che diviene più forte sulle note della bellissima “Divenire”, dove il divenire è inteso come il flusso della vita, mutamento, movimento, scorrere senza fine della realtà, perenne nascere e morire delle cose.
Qui la musica comunica più di quanto potrebbero fare le parole….

Ad est ad est, la dove nasce il sole...



“Ad est ad est… adesso si va,
ad est ad est… la dove nasce il sole”
sono le parole di una bellissima canzone dei Nomadi.
Ore 7.00, Dolomiti, Passo Sella, 4 gradi…
Uscita corso avanzato di roccia.
Dopo un sabato passato al Ciavazes su una via classica sotto il tiro continuo delle pietre delle cordate che ci precedono, oggi punto la mia cordata ad est… o meglio a nord est; direzione Sassolungo.
“Farà freddo ma almeno qui saremo soli a scalare” mi dico.
Convinco i miei insoliti compagni di cordata che qui sarà bello.
“Prenderemo un po’ di sole ?” mi chiedono. “Forse un’oretta o due…” rispondo.
Alle 8.30 la parete è già inondata dal sole. Quindi via, inizio le danze lungo un bellissimo tiro in placca di roccia fantastica, grigia, compatta e rugosa come poche… Cinquanta metri di grigio che a freddo mi svegliano ben bene.
Avevo già scalato al Sassolungo, sul Pilastro Paolina, e quello che mi era rimasto impresso di questa parete era proprio la bellezza della roccia, oltre all’isolamento garantito che riserva.
Che strana la gente, a poca distanza da qui si accalca sulle solite ormai patinate vie del Ciavazes, qui… nessuno !
Bello avere idee diverse dalla massa…
La salita continua lungo splendidi muri e placche lavorate dove non bisogna far altro che scalare cercando la linea più evidente e logica. Il grado non conta, sul terzo come sul quinto è tutto cemento; a parte il solito detrito dovuto alla scarsa frequentazione, qui è difficile trovare qualcosa che si muove !



Dopo tre orette e sette splendidi tiri sbuco con la mia allieva sulla grande cengia Lorenz dove ci concediamo venti minuti di riposo seduti al sole nell’attesa dei compagni che seguono. Che posto… che pace. Sara, l’allieva, è raggiante. Elena e Silvia, che seguono con Simone, non sono da meno. Per loro, una delle prime esperienze alpinistiche.



L’ombra ci coglierà solo in discesa ma il freddo, che avevamo tanto temuto la mattina, non arriverà.
Gli ultimi raggi di sole ci illuminano mentre allegri ci stringiamo la mano sorseggiando una bella birra sui tavoli del rifugio Sella.