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Un diario personale dove cercherò di non farvi trovare solo gradi e prestazioni sterili ma emozioni legate alle salite, paure condivise con amici, strette di mano, abbracci, racconti semplici e quant'altro ci consenta di sognare...

Nel paese dei Troll


Anche questo venerdì di fine inverno mi ritrovo a preparare con cura lo zaino e a mettermi in viaggio con gli amici, bramoso di vedere luoghi mai visti e vivere una nuova avventura.
Fin qui nulla di strano, ma ciò che rende speciale questo nostro ennesimo viaggio è la destinazione: Rjukan, piccolo paese nel sud della Norvegia.
L’idea di un viaggio in Norvegia era nata lo scorso anno durante il corso di alpinismo di base organizzato dalla nostra Scuola Leone Pellicioli; tra gli allievi iscritti, infatti, figurava Monica, il cui cognome ha subito attratto la nostra attenzione perché chiaramente straniero.
Ben presto scoprimmo che era nata e cresciuta in Norvegia e che da qualche anno viveva nella nostra bella città. Il nostro spassionato amore per i monti ci porta ad indagare sulle possibilità di praticare dell’alpinismo in quei luoghi lontani e con nostra grande sorpresa scopriamo che qui il cascatismo è molto diffuso e che proprio a Rjukan raggiunge livelli estremi.


Ecco perché quel venerdì ci siamo ritrovati con le auto stracolme di attrezzatura e vettovaglie e abbiamo affrontato un lungo viaggio, che ci ha visto attraversare tutta l’Europa fino alla città danese di Fredrikshaven, porto d’imbarco per la Norvegia (*).
Dopo una meritata dormita sul traghetto giungiamo a Larvik la domenica mattina e immediatamente notiamo il diverso stile di vita e soprattutto la tranquillità dei luoghi, non turbati dalla frenesia e dal traffico delle nostre città.
Nei 200 km che separano Larvik da Rjukan le strade si susseguono pressoché deserte; il paesaggio è idilliaco, variopinti paesini che si alternano ad immense foreste e laghi ghiacciati: qui davvero la natura è padrona incontrastata.



L’arrivo a Rjukan ci lascia sbalorditi per l’enorme quantità di cascate di ghiaccio presenti; la stranezza sta inoltre nel fatto che ci troviamo a poche centinaia di metri sul livello del mare anche se la temperatura è paragonabile a quella che troviamo in inverno sulle alpi oltre i 4000 m di quota!


La nostra vista spazia estasiata lungo nastri di ghiaccio ed effimere stalattiti e solo il gelido e onnipresente vento del nord ci riporta alla realtà.

L’arrivo alle “Rjukan Hytteby” (casette di legno attrezzate di tutto quanto necessario) è cosa gradita a tutto il gruppo; ora infatti inizia la nostra avventura!



Nel pomeriggio incontriamo Jon, guida alpina del luogo, che ci fornisce con cortesia e disponibilità cartine e guide ma, soprattutto, interessanti indicazioni sulle cascate.  
Il giorno seguente il sole ci sorprende e ci scalda con i suoi raggi mentre saltiamo da un sasso all’altro in un bellissimo canyon alla base di imponenti colate di ghiaccio.




Ad un tratto veniamo sorpresi da uno spettacolo spaventoso; tonnellate di ferro arrugginito riversate nel canyon, a testimonianza dell’esistenza di una ormai dismessa centrale idroelettrica.
Facendoci largo tra enormi lamiere e fili di ferro raggiungiamo l’attacco della cascata scelta, “Sabotorfossen” e, dopo i soliti preparativi, attacchiamo decisi.


Frange di ghiaccio secco ci sbarrano la strada e, alluscita della prima candela, possiamo vedere la cascata nella sua intera maestosità. Un tiro impegnativo incassato tra le rocce ed un muro più ampio ci portano all’ultimo salto, 25 metri verticali di ottimo ghiaccio compatto che ci ghisano per bene gli avambracci.


L’uscita in mezzo al bosco ci conduce davanti alla centrale di Vemork: il vecchio edificio in pietra, unito al forte vento ed al silenzio del luogo, incute timore e allo stesso tempo tristezza; proprio qui, durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi avevano scoperto e prodotto “l’acqua pesante” per la creazione della bomba atomica!

L’arrivo delle truppe inglesi liberò il luogo dall’invasione tedesca ed evitò possibili disastri nucleari. Oggi la centrale è un museo dell’industria ma il ricordo dei tempi passati, gli enormi portoni dove entravano i vagoni ferroviari e le torrette di avvistamento tedesche lasciano un non so che di strano in testa…
Così, tra una cascata ed una gita sci alpinistica, e naturalmente una veloce visita ai luoghi più significativi, i giorni a nostra disposizione giungono al termine.


Ci aspetta il lungo viaggio di ritorno ma siamo felici per la bella esperienza vissuta, i nuovi amici e, soprattutto, per avere un poco conosciuto questa terra carica di fascino e mistero (**).

(*) il lungo viaggio in auto (circa 18 ore + 8 ore di traghetto), non esistendo nel 1998 i voli low cost, era l’unica soluzione che permetteva di contenere i costi.

(**) Racconto tratto dall’articolo pubblicato sulla Rivista del CAI di Marzo-Aprile 1999.






















































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