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Un diario personale dove cercherò di non farvi trovare solo gradi e prestazioni sterili ma emozioni legate alle salite, paure condivise con amici, strette di mano, abbracci, racconti semplici e quant'altro ci consenta di sognare...

Prime esperienze solitarie



Gennaio 1989
L’inverno ’89 è ormai arrivato, con il suo freddo pungente e le giornate corte.
Durante i weekend faccio qualche salto in falesia con gli amici ma non ho molti stimoli…
Sono attirato dalla neve, dal ghiaccio, dal freddo e isolato ambiente invernale montano.
A casa ammiro con passione le due piccozze Golden Eagles che ho vinto al Trofeo Gervasoni; che attrezzi ! Che lame ! Mai visto una cosa simile… So solamente che sono tra i migliori attrezzi sul mercato (non ce ne sono più di tanti…) e che Casarotto con queste “macchine da guerra” ha fatto furore!!
Dopo un breve approccio su cascate con gli amici capisco che questo mondo fa per me…
Imparo subito e a buon livello l’utilizzo della tecnica piolet traction.

Così una domenica, attirato dai canali di ghiaccio, decido di provare anch’io a salirne uno ma… da solo!
Mio padre è ben contento di farmi da appoggio e poi, senza di lui, non potrei andare molto lontano: io non ho ancora la patente e il motorino non fa parte del mio bagaglio giovanile…
Alle 6,00 la Taunus si ferma alla partenza del rifugio Coca a Valbondione; fa freddo, circa -10 gradi; è tutto pronto. Monto la pila sul bastoncino (e si… non ero ancora in possesso di una invenzione come la pila frontale e quando partivo al buio attaccavo una torcia al manico di un bastoncino da sci con un grosso elastico nero…), saluto papà e con trepidazione inizio ad incamminarmi verso il rifugio Coca. Papà mi segue a distanza.
Anche la prima meta, il rifugio, mi è nuova; è la prima volta che salgo. Ho in testa solo il ricordo di una risposta di papà alla mia domanda di come fosse la salita al rifugio: “E’ un sentiero impegnativo! D’inverno c’è molto ghiaccio e bisogna stare attenti…”.
Poco alla volta supero il bosco e raggiungo le brevi corde fisse dove devo calzare i ramponi: è tutta una lastra di ghiaccio. Poi con neve dura raggiungo il rifugio. Mi fermo a mangiare qualcosa e do una voce a papà che scorgo a distanza.
Riparto subito e in breve raggiungo la conca del lago di Coca; che spettacolo!! Il lago dev’essere qua sotto, sepolto da metri di neve. Il sole inizia a sbucare e illumina tutto. Alla mia sinistra si apre uno spettacolo fantastico: al sole si scorge tutto il versante est del pizzo Redorta!!
Ammiro e cammino. Devo raggiungere la mia meta, il canalone centrale di Scais. Fa sempre freddo, la neve è dura e soprattutto ben assestata. All’imbocco del canalone tolgo lo zaino e mi preparo; sono solo ma imbracatura, mezza corda, casco, piccozze e ramponi non mancano! Non so a cosa vado incontro, ho solo la relazione e una fotografia in bianco e nero presa dal pizzo Coca che mostra in tutta la sua bellezza la salita che sto affrontando.
Parto di buona lena ma dopo poco mi accorgo che la neve non regge sotto il mio peso. Che faticaccia…
Salgo piano piano mentre sopra di me il canale sembra chiudersi in un o stretto budello.
Raggiungo la strettoia interamente di ghiaccio e noto che il canale sopra si allarga ancora; supero circa 100m di neve dura e ghiaccio vivo e in breve mi trovo nella parte alta del canale che, con andamento obliquo a sinistra, conduce verso l’anticima della Punta di Scais denominata Fetta di Polenta.
La neve è assestata ma gli scarponi sfondano fin quasi al ginocchio.
Salgo, annaspo, soffio fino all’inverosimile; il cuore sembra voler uscire dalla fatica.
Un ultimo pendio a sinistra che sembra essere sospeso sull’abisso e in breve raggiungo l’intaglio a nord della Fetta di Polenta. E’ fatta!! Che spettacolo!! Che panorama da quassù. Soprattutto che pace e che silenzio!! Sono solo; io,la mia testa e il mio cuore…
Quasi piango dalla gioia… ma poi mi ricordo che sono solo a metà dell’opera, devo anche scendere.
Senza indugio inizio la discesa dalla via di salita; era nei piani!
A poco a poco, un po’ faccia a monte un po’ faccia a valle, raggiungo la strettoia a circa metà canale; supero la parte di ghiaccio e velocemente mi avvio verso il lago di Coca. Scendendo la neve comincia a fare zoccolo e ogni tanto mi concedo una scivolata non del tutto controllata; la stanchezza inizia a farsi sentire ma si allevia non appena, dalla parte finale del canale, scorgo una figura  umana che gesticola e mi chiama; mio padre.
Sono felice, salto e corro, non sono più avvolto da quella tranquilla solitudine che mi ha accompagnato durante la salita e che mi da stimolo; ora mi posso rilassare, però non troppo perché qualche scivolata mi ricorda che sono ancora in ambiente…
Raggiungo papà raggiante che si complimenta con me; ora sono madido di sudore e la fatica si fa sentire ma la gioia trascorsa in quelle 6-7 ore trascorse da solo mi pervade.
Come un automa, richiamato alla realtà dalle domande di papà che ogni tanto mi svegliano, mi avvio verso il fondovalle e verso il beneamato riposo.

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