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Un diario personale dove cercherò di non farvi trovare solo gradi e prestazioni sterili ma emozioni legate alle salite, paure condivise con amici, strette di mano, abbracci, racconti semplici e quant'altro ci consenta di sognare...

Superficialità


Pizzo Cassandra - Parete Nord - Novembre 1997

Novembre 1997
Una discussione animata con Antonia…Un pretesto per decidere di andare in montagna solo.
Parto presto, forse alle 4.00.
Alle 7.00 lascio la macchina a Chiareggio e mi incammino verso il Rif. Porro; l’idea di salire la nord del Disgrazia svanisce alla vista del ghiacciaio, crepacciatissimo, e del colore della parete che si intravede in lontananza dalle ultime case del paese.
D'altronde non potevo aspettarmi altro… siamo a novembre e non ha ancora nevicato!
Decido per la nord del Cassandra, da me già salita più volte.
In mezzo al ghiacciaio sono completamente solo, senza ne corda ne materiale; mi fanno compagnia le mie due piccozze e i mie ramponi.
Volevo vivere una giornata intensa ed ora… eccomi qui!
La giornata è stupenda; supero la breve terminale senza problemi ed inizio a salire il pendio regolare, mai troppo ripido. A tre quarti della parete, una cinquantina di metri di ghiaccio vivo mi svegliano dal torpore in cui sono assorto e mi fanno ricordare che non devo commettere errori; è vero che il pendio è facile ma basta poco e il ricordo di quando 4 mesi prima mi sono “azzoppato”si fa sempre vivo.
Oggi è anche la prova del nove, la prova per vedere se le caviglie si sono riprese.
I dolorini presenti non sono confortanti ma mi sforzo di non ascoltarli…
Poco dopo le 10.00 sono in vetta, solo. Intorno tutte le montagne illuminate da una intensa luce.


Autoscatto di vetta

Mi fermo dieci minuti a contemplare la tranquillità del luogo e, dopo aver mangiato qualcosa, inizio la discesa lungo la normale. Mi pervade un dubbio atroce: “e se la crepaccia terminale che difende il pendio che sale al Passo Cassandra fosse insuperabile ? Cosa potrei fare?” Poco dopo raggiungo il Passo e qui il dubbio si trasforma in realtà.
Un baratro largo tre metri e lungo un centinaio taglia l’intero pendio; non c’è modo di passare… Il labbro superiore è alto più di tre metri…
“Cazzo… Che stupido che sono stato! Dovevo pensarci che poteva capitare! E invece no, ho dato per scontato la discesa. Ti sta bene.. Ma adesso… cosa faccio?”
Giro avanti e indietro sul baratro ma non trovo nessuna possibilità per scendere.
Allora prendo l’unica decisione possibile… salto!
In pochi secondi realizzo che fortunatamente la neve è molle, che sotto non ci sono altri buchi e che questa è l’unica soluzione; scarto a priori la possibilità di farmi ancora male, non può e non deve succedermi!
Prendo un minimo di rincorsa e… salto!
Due secondi dopo mi trovo dall’altra parte del crepaccio, tre metri sotto e immerso nella neve fino quasi alla cintola; è andata! Sono integro. Fortuna vuole che ci fosse la neve, se ci fosse stato il ghiaccio non so come sarebbe andata.
L’intera discesa sul ghiacciaio è occupata a pensare a come abbia potuto commettere uno sbaglio simile. Superficialità, ecco tutto. Ma questo, in montagna, non deve mai capitare!

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